Coronavirus e la bufala della vitamina C

Audio WhatsApp: “Efficace come cura sui pazienti contagiati”. Ennesima bufala. L’esperto: “Nessuna evidenza di azione curativa o preventiva contro infezioni virali”

Su WhatsAppa circola un audio anonimo registrato da una donna che afferma: “La vitamina C è molto efficace sui pazienti affetti da coronavirus. La stanno utilizzando come terapia e le persone rispondono benissimo”. Cita inoltre tre ospedali lombardi: il San Gerardo di Monza, il Policlinico e il Sacco di Milano, che secondo quanto afferma la donna, utilizzerebbero l’acido ascorbico per sconfiggere il nuovo virus.

Si tratta però dell’ennesima bufala, da cui tutti gli ospedali menzionati si dissociano.

Andrea Gori, direttore Malattie Infettive del Policlinico di Milano, afferma: “Smentisco categoricamente la notizia. Le terapie che utilizziamo per trattare i pazienti con coronavirus al Policlinico, così come al Sacco e al San Gerardo, sono standardizzate perché sono state decise dai primari di malattie infettive di tutta la Regione Lombardia in modo coordinato. E la vitamina C non è assolutamente contemplata”.

Girano sul web consigli sull’ assunzione di vitamina C sotto forma di limoni, arance, kiwi oppure integratori per rinforzare le difese immunitarie. Gori continua dicendo che “ciò che bisogna fare è seguire un’alimentazione sana e adottare un corretto stile di vita a tutto tondo: solo così si può pensare di rinforzare il sistema immunitario. Ovviamente in una dieta sana può rientrare una spremuta, ma non è la spremuta a difenderci dalle infezioni e dalle malattie. Così come non lo sono gli integratori di qualsiasi altra natura”.

Gori conclude spiegando qual è l’approccio farmacologico utilizzato per ora: “Prima viene somministrato un antiretrovirale, il kaletra, utilizzato in passato per il trattamento dell’Hiv, insieme all’antireumatico idrossiclorochina. Successivamente, in alcuni casi selezionati, possiamo utilizzare anche remdesivr, un nuovo farmaco sperimentale la cui efficacia è stata documentata dagli studi pubblicati dopo l’esperienza cinese”.