La lezione di Papa Francesco, l’unico leader globale di questo tempo

Ha parlato sotto la pioggia, in una piazza vuota e desolata. Un’immagine destinata a passare alla storia. Ha parlato da leader globale, più che da guida spirituale. Ha rivolto un messaggio potente all’umanità: “Nessuno di salva da solo”.

Curioso che mentre il Coronavirus sta sterminando migliaia e migliaia di anziani in ogni parte del pianeta, sia proprio un 83enne a dare conforto e speranza alla comunità mondiale. E lo fa senza nascondere i suoi malanni, il suo passo incerto, la sua stanchezza. E poi, tra le righe delle parole di Papa Francesco, si legge una profonda preoccupazione: che l’umanità non abbia compreso pienamente cosa stia succedendo.

In queste settimane, tanti osservatori hanno provato a immaginare come sarà il mondo dopo il Coronavirus. Tendenzialmente, sono emerse due visioni diverse: da un lato quelli che considerano il presente alla stregua di un brutto sogno, da cui non vedono l’ora di risvegliarsi per tornare immediatamente ai riti, le abitudini e le routine del recente passato; dall’altro, coloro che stanno vivendo questo “spazio bianco” come una sorta di dolorosa opportunità, da cui ricostruire un altro modello culturale.

Questa seconda visione coincide con quella del Papa, che in tempi non sospetti aveva lanciato vari moniti sulla necessità di un mondo più sostenibile, da un punto di vista sociale, economico e ambientale. Rientravano in questa logica anche i numerosi appelli per l’accoglienza dei migranti in fuga da fame, epidemie, guerre, carestie e persecuzioni. Ma, fino a poco tempo fa, si preferiva pensare che il diritto alla vita dei cittadini dell’Occidente benestante valesse più di quello dei cittadini africani o mediorientali e le parole del Pontefice venivano per lo più accolte con indifferenza o fastidio. I morti in mare, erano “danni collaterali”, secondo una logica non molto diversa da quella utilizzata dal premier britannico Boris Johnson qualche giorno fa a proposito del Coronavirus e della cosiddetta “immunità di gregge”, che ha suscitato tanta indignazione nell’opinione pubblica. Come se la stessa logica non fosse già stata utilizzata fino a poche settimane fa con gli immigrati e i tanti “ultimi” a cui gli Stati nazionali riservano servizi sempre più striminziti, ritenendo il vecchio Welfare un lusso inadeguato ai tempi, nonostante la crisi del 2008 avesse già ulteriormente ampliato le diseguaglianze economiche e sociali.

La risposta all’ottusità dell’establishment occidentale è stata il populismo, che ha dimostrato innegabili limiti nel passaggio dalla fase critica a quella progettuale.

Così ci siamo ritrovati con un evidente problema di leadership, a tutti i livelli: inadeguati gli alfieri dell’elites che continuano a parlare un linguaggio fermo a vent’anni fa; incapaci i leader populisti; inaffidabili i dittatori o gli autocrati à la Putin. Di fatto, i governanti si limitano a invitare la popolazione a restare a casa, facendo fatica a indicare un futuro in cui riconoscersi.

La sensazione è che tra 20 anni, quando le future generazioni leggeranno sui libri di storia quello che sta accadendo oggi, l’unica leadership che verrà ricordata per la sua credibilità da credenti e laici sarà proprio Papa Francesco. La sua forza, la sua saggezza, il suo carisma, hanno aperto squarci di luce nelle tenebre del nostro tempo, restituendo briciole di serenità a cui aggrapparci nello stesso momento in cui i dati della Protezione Civile ci stavano raccontando una delle giornate più drammatiche dall’inizio dell’emergenza Coronavirus. Ma per resistere, abbiamo bisogno di accompagnare alla responsabilità anche la speranza. Proprio per questa ragione, le parole pronunciate venerdì da Papa Bergoglio appaiono quantomai preziose.