Covid, Addio a Lidia Menapace la partigiana combattente: aveva 96 anni

Ho incontrato Lidia Menapace a Marsala, invitata a parlare agli studenti dell’ITC di via Trapani, 4 anni fa. Una donna dagli occhi vivissimi, lo sguardo fiero, da eterna combattente e una voce bassa che però non lasciava spazio all’incertezza. Aveva già superato i 92 anni e le parole usate mi sono sembrate pregne di forza, lucidità, intelligenza, di indiscussa attualità. Non è un caso che sia stata definita “l’anticipatrice”, perchè la sensazione che ne ho avuta è che fosse un passo avanti a noi, sempre. Accanto a lei era seduto Pino Nilo, Presidente ANPI della Sezione Marsala e la professoressa Giuseppina Passalacqua presidente dell’ANDE. Un incontro indimenticabile. La platea dei giovani, in religioso silenzio, ha ascoltato ogni ricordo, ogni parola di una donna straordinaria eppure normalissima nella sua forza e nella sua determinazione. Ha usato sempre la parola lotta e mai guerra, segno che per cambiare le cose bisogna lottare e non fare inutili guerre. Lidia Menapace è morta con il Covid dopo aver lottato una vita, instancabile ed indomita”

 Lidia Menapace, è morta a 96 anni con il Covid, dopo essere stata ricoverata qualche giorno fa nel reparto di malattie infettive dell’Ospedale di Bolzano. Era nata a Novara nel 1924 e il suo vero cognome era Brusca, in quanto usava il cognome del marito Nene un medico trentino con cui ha condiviso la vita. Appena ventenne era stata staffetta partigiana (nome di battaglia Bruna) nella formazione della Val d’Ossola. “Anche se mai ho voluto toccare le armi”, ci teneva a dire. “Benché abbia sempre rifiutato di portare armi vengo alla fine ‘congedata’ col brevetto di “partigiano combattente”(ovviamente al maschile) e col grado di sottotenente e divento furiosamente antimilitarista. “Contesto l’idea che le donne potessero essere solo staffette perché la lotta di liberazione è una lotta complessa”. E “il Cnl del Piemonte mi disse che potevo essere partigiana combattente anche senza portare armi“. Di noi dicevano che “eravamo le donne, le ragazze, le puttane dei partigiani”. Ma “senza le donne che ricoveravano l’esercito italiano in fuga non avrebbe potuto esserci la resistenza